venerdì, Aprile 18, 2025

Whistleblowing – attestati

Attestato formativo responsabile whistleblowing Il Responsabile Whistleblowing è il soggetto, interno o esterno all’azienda, a cui è affidato il compito di gestire il sistema whistleblowing aziendale.

Il Responsabile Whistleblowing ha un ruolo fondamentale nel sistema di whistleblowing aziendale in quanto ha il compito di supervisionare il canale di segnalazione whistleblowing e di dirigere, coordinare e controllare l’Ufficio Whistleblowing Aziendale, il quale si occupa di effettuare l’analisi preliminare delle segnalazioni whistleblowing e di svolgerne l’istruttoria finale. Il Responsabile Whistleblowing si occupa, inoltre, di gestire, in ambito whistleblowing, le relazioni con direzione aziendale, rappresentanze e organizzazioni sindacali, Organismo di Vigilanza 231 (OdV 231) e Autorità Competenti (es: ANAC). Il soggetto da nominare Responsabile Whistleblowing Aziendale deve essere scelto tra soggetti, interni o esterni all’azienda, in grado di garantire il rispetto dei requisiti di autonomia, imparzialità e indipendenza e in possesso di comprovata esperienza e specifiche competenze legali, organizzative e tecniche in materia di anticorruzione, whistleblowing e responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Nei soggetti del settore pubblico, il ruolo del Responsabile Whistleblowing deve essere obbligatoriamente ricoperto dal Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza.

In sintesi, il Responsabile Whistleblowing è una figura apicale a staff dell’Organo Amministravo Aziendale a cui sono assegnati i seguenti compiti:

  • progettare, implementare, monitorare e migliorare il sistema whistleblowing aziendale
  • dirigere, coordinare e controllare l’Ufficio Whistleblowing Aziendale
  • definire le linee guida, le procedure e le istruzioni operative whistleblowing
  • pianificare le attività di formazione whistleblowing aziendali
  • supervisionare la gestione della Piattaforma Whistleblowing
  • conoscere e custodire l’identità del segnalante garantendone la riservatezza
  • interagire con il Segnalante e richiedere ulteriori informazioni, atti o documenti
  • coinvolgere il Segnalato, il Facilitatore e terze persone tramite audizioni e altre specifiche richieste
  • gestire i rapporti con sindacati, OdV 231 e Autorità Competenti
  • avvalersi della collaborazione di consulenti legali e fornitori esterni whistleblowing
  • comunicare all’Organo Amministrativo Aziendale il risultato finale di ogni istruttoria
  • presentare una Relazione Annuale sul Sistema Whistleblowing all’Organo Amministrativo Aziendale

Si ricorda che in caso di mancato rispetto degli obblighi di legge previsti dalla normativa whistleblowing è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da € 10.000 a € 50.000.

Attestato formativo facilitatore whistleblowing Nel decreto il facilitatore è definito come una “persona fisica che assiste il segnalante nel processo di segnalazione, operante all’interno del medesimo contesto lavorativo e la cui assistenza deve essere mantenuta riservata”1. La norma, utilizzando il termine “assistenza”, fa riferimento a un soggetto che fornisce consulenza o sostegno al segnalante e che opera nel medesimo contesto lavorativo del segnalante. A titolo esemplificativo, il facilitatore potrebbe essere il collega dell’ufficio del segnalante o di un altro ufficio che lo assiste in via riservata2 nel processo di segnalazione. Il facilitatore potrebbe essere un collega che riveste anche la qualifica di sindacalista se assiste il segnalante in suo nome, senza spendere la sigla sindacale. Si precisa che se, invece, assiste il segnalante utilizzando la sigla sindacale, lo stesso non riveste il ruolo di facilitatore. In tal caso resta ferma l’applicazione delle disposizioni in tema di consultazione dei rappresentanti sindacali e di repressione delle condotte antisindacali di cui alla l. n. 300/1970. Tenuto conto che la ratio perseguita dal legislatore è quella di far emergere illeciti garantendo, fra l’altro, la libertà di espressione del segnalante anche mediante l’assistenza di altri soggetti, ne discende che la protezione debba essere garantita al facilitatore anche sotto il profilo della riservatezza. Ciò sia per quanto riguarda l’identità del facilitatore, sia con riferimento all’attività in cui l’assistenza si concretizza. Tale esigenza di protezione si desume dalla formulazione della norma che prevede espressamente che “l’assistenza deve essere mantenuta riservata”. D’altronde, escludendo tale tutela nei confronti del facilitatore, si potrebbe correre il rischio di disvelare l’identità dello stesso segnalante che si è avvalso dell’assistenza del primo.